Breve storia triste: il “dolce far niente” è meno “dolce” di quel che si può pensare. 

Purtroppo questa storia non è molto lontana da noi, anzi ci riguarda più di quello che pensiamo: è l’esperienza che vivono sempre più giovani italiani, i quali si ritrovano ad essere, quasi sempre non volontariamente, esclusi dal mondo formativo e da quello lavorativo.

Come avrete intuito, oggi parliamo dei “NEET”, tema che ormai l’Italia non può più ignorare.

Ma chi sono? Di che percentuali stiamo parlando? E soprattutto, cosa si può fare in merito?I giovani in numeriè qui proprio per provare a rispondere a queste domande, esaminando i dati del nostro Paese e, in particolare, guardando oggi alla situazione della Toscana, regione in cui Generazione T ha iniziato ad essere attiva nell’ultimo anno e che rappresenta un caso interessante per la questione.

L’espressione ‘NEET’ sta per Not in Education, Employment or Training e fa riferimento, come già accennato sopra, ai giovani adulti esclusi sia dall’occupazione sia da qualsiasi tipo di formazione. Considerando la fascia d’età 15-29 anni, dagli ultimi dati Eurostat è emerso che l’Italia si posiziona al secondo posto tra i 27 Paesi dell’UE per numero di NEET (19%, cioè 1,6 milioni di giovani), seconda solo alla Romania (19,8%). Purtroppo, i numeri italiani sono ben distanti dalla media europea (11,7%), la quale nonostante la pandemia è riuscita a confermare il suo progressivo miglioramento, con una diminuzione di NEET europei del 4,3% nell’ultimo decennio. 

In tutto questo, come se la cava però la Toscana? L’ultima rilevazione Istat sul tema, datata 2020, riporta che la percentuale di NEET toscani corrisponde circa al 17% dei giovani della fascia d’età 15-29 anni della regione, dato che conferma quanto asserito dall’Istituto Toniolo in un recente studio sui giovani toscani, per cui “la Toscana offre, sotto vari aspetti, un contesto più favorevole per la transizione allo stato adulto dei giovani rispetto alla media nazionale”, anche se “in generale le condizioni della regione – in termini di autonomia, lavoro e progetti di vita – tendono ad essere peggiori rispetto alla media europea.” Inoltre, è importante notare come tra le province toscane esistano forti disuguaglianze sul tema: se infatti nella provincia di Grosseto la percentuale di NEET nella fascia 15-29 anni raggiunge il 20,4%, la provincia di Prato registra uno stupefacente 12,1% mentre quella di Siena il 14,9%

A questo punto vanno però chiariti due aspetti fondamentali sulla questione NEET.

Innanzitutto, quando si parla di questi giovani spesso l’idea è che si tratti di persone economicamente inattive, mentre i dati mostrano come invece la grandissima parte di loro sia attiva nella ricerca di un lavoro. Anche nel caso specifico della Toscana, l’indagine “Giovani toscani” mostra come oltre il 72% dei NEET della regione cerchi attivamente lavoro, mentre solo il 10% è inattivo. Inoltre, una seconda considerazione piuttosto diffusa è che il ritardo nella transizione scuola-lavoro legato alla questione NEET dipenda soprattutto dall’espansione dell’istruzione terziaria: tuttavia, anche in questo caso, i dati riportati dall’Istituto Toniolo si discostano da questa tesi, sostenendo che “ad esclusione della Romania, nel 2021 l’Italia resta infatti lo Stato membro dell’Unione Europea con la più bassa percentuale di laureati sulla popolazione tra i 30 e i 34 anni (26,8%)”, precisando che “questo dato è ben al di sotto della media UE (41%) e di gran lunga inferiore al target del 45% fissato dal Consiglio d’Europa per il decennio 2021-2030.

La stessa indagine fa luce sul fatto che la problematica NEET è intrinsecamente legata alla maggiore fragilità economica e sociale dei giovani, a sua volta causata dalla loro riduzione demografica – di cui abbiamo parlato nello scorso articolo – la quale “rende in prospettiva più debole la forza lavoro e li porta anche a contare politicamente meno rispetto alle generazioni più anziane.

Ciò che emerge sempre più chiaramente dagli ultimi studi è che dietro alla condizione NEET si cela una pluralità di cause, ben più sistemiche di quanto si possa pensare. In primis, c’è la già menzionata questione della difficile transizione scuola-lavoro: questa non si fonda tanto sulla mancanza di opportunità occupazionali, ma piuttosto sull’insoddisfazione verso di esse, a cui fin troppo spesso i giovani devono rinunciare poiché di scarso interesse o non sufficientemente stabili o remunerative. Negli ultimi anni per i giovani la difficoltà nel trovare un impiego si è aggravata ulteriormente in corrispondenza della crisi economico-sanitaria causata dal Covid-19, e, come riportato dall’Istituto Toniolo per il caso specifico toscano, “nel 2021 i giovani toscani tra i 15 e i 24 anni che cercavano attivamente lavoro ammontavano al 26,2%, con un divario di genere a sfavore delle giovani donne di più di dieci punti percentuali”. Se poi a questa già difficile transizione scuola-lavoro si lega anche il fenomeno dell’abbandono scolastico (early school leavers), è facile comprendere come la ricerca di un’occupazione o di un nuovo percorso di formazione diventi per molti giovani ulteriormente complicato. 

C’è poi un altro fattore che va a pesare notevolmente sul numero di giovani NEET, soprattutto donne, ovvero la difficoltà a conciliare lavoro e carichi di cura. È proprio in relazione a questo aspetto che entra in gioco quello che rappresenta uno dei maggiori rischi della condizione NEET: il suo protrarsi nel tempo. Distaccarsi dal lavoro o dalla formazione per un periodo prolungato non comporta solo un danno al proprio bagaglio di competenze e alla propria autosufficienza; più gravemente, porta ad una marginalizzazione dalla società che, se avviene in giovane età, aumenta notevolmente le probabilità di restarne esclusi per il resto della propria vita. Come riportato nell’indagine dell’Istituto Toniolo, “sperimentare prolungati periodi di inattività e disoccupazione, soprattutto all’inizio del percorso nel mondo del lavoro, [ha] effetti negativi di lungo periodo, sia in termini di partecipazione che di guadagno (Eurofound, 2012), aumentando di conseguenza il rischio di povertà e di esclusione sociale”: le disuguaglianze generazionali alla base della condizione NEET si intrecciano quindi anche con un mix di disuguaglianze sul piano sociale, territoriale e di genere.

È dunque alla luce di queste considerazioni che, al fine di contrastare il fenomeno NEET, risulta fondamentale un’azione diretta proprio al rischio di marginalità di lungo periodo. Ciò che più serve è una rete di enti sul territorio che collaborino per creare strategie di intercettazione (“outreach”) capaci di raggiungere soprattutto i giovani “fuori dal radar delle politiche pubbliche” (“Giovani toscani”, 2022). Oltre ad un’azione di continuo monitoraggio della condizione dei NEET e di valutazione dell’efficacia delle politiche pubbliche in merito, è necessario rafforzare la presenza sul territorio e il coinvolgimento dei giovani stessi (come volontari, ex NEET ed imprese sociali), quali figure di mediazione e facilitazione. È infatti proprio in situazioni come quella dei NEET che la comunicazione peer-to-peer e la creazione di luoghi di incontro libero si rivelano centrali per creare un senso di comunità che permetta ai giovani di integrarsi nella società. 

Riprendendo le parole della ricerca “Giovani toscani”, “al di là delle singole misure, nel complesso deve arrivare ai giovani il chiaro messaggio che chi ha difficoltà nella transizione scuola-lavoro non è abbandonato a se stesso, ha un territorio con istituzioni attente, in grado di andare incontro in modo positivo e propositivo riconoscendo fragilità ma anche desideri e potenzialità.

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