“Porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque”. Questo è il primo dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. 

Ma cos’è la povertà? Come si stabilisce chi è povero? Chi sono i poveri in Italia?

Queste sono solo alcune delle domande chiave di questo nuovo articolo de “I giovani in numeri”, dove esamineremo il tema della povertà in rapporto ai giovani, soffermandoci sul caso italiano e toscano.

Secondo Treccani, la povertà è definibile come “lo stato di indigenza consistente in un livello di reddito troppo basso per permettere la soddisfazione di bisogni fondamentali in termini di mercato, nonché in una inadeguata disponibilità di beni e servizi di ordine sociale, politico e culturale.”

Questa definizione racchiude l’idea più comunemente accettata e condivisa di povertà. Ci sono però tre falsi miti piuttosto diffusi a riguardo:

1. Che la povertà sia una condizione statica. 

Sebbene la povertà sia una situazione che persiste nel tempo, essa è mutevole e può quindi essere intesa piuttosto come un processo.

2. Che la povertà abbia una sola manifestazione. 

In genere quando si parla di povertà si pensa solo alla mancanza di risorse materiali sufficienti per una vita dignitosa. Tuttavia, la povertà può manifestarsi in molte altre forme, come nel difficile accesso a istruzione e altri servizi base, nella mortalità elevata, in abitazioni inadeguate, o nella scarsa, se non assente, partecipazione al processo decisionale e alla vita della propria comunità. Queste forme di povertà sono meno evidenti rispetto alla deprivazione materiale e tendono ad intrecciarsi con dinamiche di discriminazione ed esclusione sociale.

3. Che la povertà esista solo nei Paesi in via di sviluppo. 

Nell’immaginario comune la povertà tocca solo i Paesi del “Terzo Mondo” ma purtroppo essa è presente ovunque, anche in Italia. Questa dispercezione deriva in parte da quella precedente: siamo abituati a immaginare che ci sia solo un tipo di povertà, quando invece essa può avere manifestazioni anche di tipo sociale, culturale e politico.

Ma come si misura la povertà? In generale, esistono tre principali macro-misure.

La prima è la povertà assoluta. Essa fa riferimento alla “carenza dei mezzi indispensabili alla mera sussistenza dell’individuo” (Treccani) e si calcola individuando il paniere minimo di beni necessari per sostenere i bisogni primari di un individuo. 

In secondo luogo, c’è la povertà relativa. Questa è più vicina al concetto di disuguaglianza in quanto si riferisce all’impossibilità di aderire al tenore di vita medio della comunità in cui si vive. In questo caso la povertà viene considerata nella sua relatività geografica, storica, culturale e sociale: la persona povera è quella che dispone di un reddito più basso del reddito medio della sua collettività.

Infine, c’è l’AROPE (At Risk of Poverty and Social Exclusion Rate). Introdotto nel 2010 dall’Eurostat, rappresenta la principale misura della povertà all’interno dell’Unione europea e si compone di tre sotto-indicatori: rischio di povertà di reddito, grave deprivazione materiale, e bassa intensità di lavoro.

Ora che abbiamo presentato un quadro generale, vediamo un po’ di numeri.

Dai dati Eurostat relativi al 2022 emerge che in Italia quasi 1 persona su 4 è a rischio di povertà o esclusione sociale (AROPE al 24,4%), circa il 3% in più rispetto alla media europea (21,6%).

Inoltre, secondo i dati Istat sarebbero le famiglie under 35 a trovarsi più a rischio (31,3%), confermando che in Italia sono proprio i più giovani a versare nelle condizioni di maggiore vulnerabilità. Infatti, alla luce di quanto riportato dalla ricerca dell’Istituto Giuseppe Toniolo (2022), risulta che l’incidenza della povertà diminuisce con l’aumentare dell’età della persona di riferimento del nucleo familiare.

Stringendo ulteriormente il campo di analisi e osservando la situazione del Centro Italia, l’AROPE mostra condizioni di gravità intermedie (19,6%), posizionandosi circa a metà strada tra Nord e Sud

Nel caso specifico della Toscana a far riflettere sono soprattutto le valutazioni soggettive dei giovani della regione in merito alla condizione economica del proprio nucleo familiare: la ricerca dell’Istituto Toniolo (2022) riporta che “quasi 1 giovane su 3 (31,1%) valuta la propria condizione economica come abbastanza cattiva o molto cattiva”, testimoniando, nella maggior parte dei casi, “un peggioramento rispetto alle condizioni economiche vissute nella propria famiglia di origine”.

L’ultimo aspetto su cui vale la pena soffermarsi riguarda un fenomeno su cui negli ultimi anni le istituzioni hanno posto maggiore attenzione, ovvero la povertà lavorativa

Come riportato dall’Istituto Toniolo (2022), la in-work poverty rappresenta “una condizione di povertà legata alla bassa remunerazione percepita nell’ambito della propria occupazione” e viene misurata dall’Eurostat attraverso l’indicatore di rischio di povertà lavorativa (At Risk of In-Work Poverty Rate). 

Dalla stessa ricerca risulta che in Italia il rischio di in-work poverty sia maggiore rispetto alla media europea, in particolare per quanto riguarda la fascia d’età 25-29 anni: nell’ultimo decennio questo gruppo d’età ha mostrato un rischio medio di povertà lavorativa più alto dell’area UE di circa il 2,5%.

Nel complesso, anche quando si parla di povertà i giovani italiani si trovano ad essere tra i più colpiti. Questo che si consideri la povertà nella sua misura assoluta o relativa, che si guardi alla disponibilità di risorse materiali o alle forme di disuguaglianza sul piano sociale, culturale e politico. E, soprattutto, se si tiene presente il fenomeno della povertà lavorativa.

Usando le parole di Amartya Sen (Premio Nobel per l’economia 1998), la povertà è più della semplice mancanza di reddito: è una “privazione di opportunità”, la “non-libertà” di partecipare pienamente alla vita economica e sociale del proprio Paese. 

Ecco perché, anche in questo caso, l’implementazione di sistemi di protezione sociale e la creazione di politiche pubbliche a favore di chi è in difficoltà si rivelano essere due elementi chiave, nella lotta contro la povertà come in quella per l’equità e l’inclusione sociale.

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